Un blog aperto a chiunque vuole fermarsi a riflettere attraverso la percezione dei propri sensi, per orientare la rotta delle emozioni e poterle vivere con serenità, autenticità e unicità.
Parliamo di Emozioni della Mente
L'autrice è una appassionata di psicologia clinica e di buon senso.....ricerca l'intelligenza come stile di vita.
© Tutti i contenuti presenti all'interno di questo blog sono proprietà dell'autrice Maria Tinto e sono protetti dalla normativa sul diritto d'autore, non potranno quindi essere pubblicati, riscritti, distribuiti, commercializzati. Il download di documenti e altri tipi di files contenuti nel sito può essere eventualmente eseguito solo per un uso personale e non commerciale. Il suo eventuale utilizzo in siti web esclusivamente amatoriali presuppone che ne venga citata la fonte.
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venerdì 17 novembre 2017
mercoledì 20 settembre 2017
Care …
Mie care compagne di viaggio, oggi voglio parlarvi
della RINUNCIA.
La RINUNCIA è una trappola psicologica...proprio così!
Quando cominci a
rinunciare alle cose, finisci in un
gioco psicologico più grande di te.
Una “TRAPPOLA” della mente
da cui è complesso uscire.
Il problema non è dato da
ciò a cui stai rinunciando, ma dal circolo vizioso che la rinuncia ha la
capacità di attuare nella tua mente.
Rinunciare a mettere quel
vestito che ti piace tanto, ma che non piace a lui … adducendo mille
motivazioni che “coprono” quella “vera”, comporta il pericolo di ritrovarti ad
indossare abiti che non sono i tuoi... in cui non ti ritrovi.
Rinunciare a vedere i tuoi
amici, perché a lui non fa piacere che tu incontri altra gente quando “lui” non
è presente, e ti dici che “forse non ne vale la pena, che è meglio guardare un
film in TV”, comporta il pericolo di imparare a stare “isolata” dal resto del
mondo.
Sono solo due piccoli
esempi delle tantissime “rinunce”, piccole o grandi non importa, che lui ti
chiede, facendoti sentire in questo modo, falsamente “al centro” del suo mondo. E così ti senti
importante, desiderata, unica e per questo assolutamente da recintare.
In realtà lui ti sta
circuendo e piano piano conducendo nella
sua vorace “trappola”, quella di insegnarti a rinunciare, e tu, da brava
allieva innamorata dell’idea dell’amore, stai imparando, mettendo
inconsapevolmente in atto il suo scopo malvagio.
In realtà ogni volta che rinunci a qualcosa
che facevi “prima” di conoscerlo, stai uccidendo una piccola parte di te che
niente e nessuno potrà mai ridarti.
Il pericolo della RINUNCIA
è quello di trovarti a guardarti allo specchio e a non riconoscerti più.
A non saper discriminare
ciò che vuoi veramente.
A non saper più definire
quelli che sono i tuoi veri bisogni, le tue aspirazioni, i tuoi desideri.
Chi sono?...cosa voglio
fare nella vita?...voglio realmente questa casa?... questa vita?...
Le domande si infittiscono
ma non trovano risposte …
Ti senti “frantumata”,
spezzettata nell’anima, e questo ti comporta uno stato di confusione tale che
ti lasci andare a quello che viene, senza più preoccuparti se è bene o male …
una sorta di penosa “rassegnazione”.
Ti dici : ”questo è il mio
destino”…”la mia vita doveva finire così”…”è colpa mia … sono io che non vado
bene”…
Queste le risposte atroci
e inverosimili che riesci a darti.
Sei nella “spirale” del
maligno. Ci sei dentro.
Non puoi fidarti di
nessuno, hai paura a parlarne, sei certa che nessuno potrebbe capire.
Guardati allo specchio …
dimmi cosa vedi … chi vedi riflessa …
Non sei più quella bambina
piccola a cui è sempre stato detto di tacere, non sei più nell’angolo, bimba
sgridata, battuta, no, quella bimba non esiste più.
Non sei più la “brava
bambina”, col vestitino merlettato a cui è stato detto di non sporcarsi, ubbidiente
e gentile con tutti anche con i compagni sgarbati e prepotenti.
No, non c’è più la bimba
tutta sorrisi e moine per farsi accettare da mamma e papà, che per non ricevere
l’ennesimo rifiuto era disposta a farsi da parte, a soggiacere alla volontà
degli altri, senza esprimere quelli che erano i suoi bisogni.
No, non c’è più quella
bimbetta spaurita e sola.
C’è una Donna, una Donna
adulta che ha il diritto di vivere la sua vita degnamente, di essere amata con
gioia, con tutto quello che di buono c’è nell’ Amore.
Una Donna adulta che ha voce per
urlare al mondo la sua voglia di vivere, senza catene, senza più silenzi, senza
rinunce, senza paura.
Perché la vita esige
coraggio.
Questo è il tempo del coraggio, di dire a te stessa che la vita è un bene prezioso e unico per metterlo nelle mani di un altro.
Questo è il tempo di volerti bene, di migliorare il presente per costruire un futuro felice.
Questo è il tempo.
Il tempo della consapevolezza.
Il tempo della conoscenza di te stessa.
Il tempo della sapienza.
Il tuo tempo!
Sappi che quando un uomo,
anche se con dolcezza ed in modo affabulatorio ti conduce a rinunciare a
qualcosa della tua vita, del tuo modo di essere, del tuo modo di sentire e di
interpretarla la vita, stai subendo una violenza, una pericolosa psicologica.
Una violenza sottile che
si insinua furtivamente nella tua mente, senza darti la possibilità di rendertene conto,
allestita dalla pantomima del sentimento amoroso, un vero e proprio inganno
fraudolento.
Sappi che se un uomo ti
ama, non pensa di volerti cambiare, ti rispetta, che vuol dire ti vede per come
sei, e va bene così, non attua ricatti in nome dell’amore.
Un uomo si innamora di te,
non dell’idea che lui ha di come “deve” essere una donna, di come si “deve”
comportare, e di come può “modificarla” per “misurare” la sua mascolinità e la
sua “potenza”.
Un uomo che costringe,
controlla, ricatta, pretende è un uomo che non sa cosa vuol dire amare.
E' un uomo che deve vivere da solo, perché centrato su se stesso, non "vede" né considera niente al di fuori di sé.
Inutile perdere tempo con
un uomo simile.
Se vuoi essere amata cerca l’Amore lontana da lui!
L’Amore, quello con la “A”
maiuscola, non ha bisogno di rinunce, di “sacrifici”, di ostentazioni, di
“prove”.
L’Amore vero ti abbraccia
nel suo seno, ti coccola e ti “veste” di gioia.
E quando non è presente ai tuoi
occhi, è vivo in te, perché si nutre del desiderio.
Desiderio dell’abbraccio
amato, non di sgridate, rimproveri, urla
e schiaffi.
Essere Donna vuole dire non confondere la propria femminilità, la voglia e il diritto di esprimerla, con i bisogni di un altro.
La Femminilità appartiene a te stessa, non è un valore aggiunto che qualcuno può aumentare o sminuire o eliminare dalla tua esistenza.
E' un'essenza intima che si disvela attraverso la percezione che hai del tuo valore.
Non permettere a nessuno di poterci entrare.
Rinuncia a rinunciare!
Maria Tinto
martedì 22 agosto 2017
PSICOLOGA- CONSULENTE SESSUALE DOTT.SSA MARIA TINTO : DIMENTICAR-SI, DIECI COS...
PSICOLOGA- CONSULENTE SESSUALE DOTT.SSA MARIA TINTO : DEMENZA : DIMENTICAR-SI, DIECI COS...: DIMENTICAR-SI , DIECI COSE DA NON FARE CON LA PERSONA SOFFERENTE Se, come affermava O.Wilde,” La memo...
NON FARE CON LA PERSONA SOFFERENTE
Se, come affermava
O.Wilde,” La memoria è il diario che
ciascuno di noi porta sempre con sé”, proviamo ad immaginare cosa succede quando
le pagine di quel diario cominciano a staccarsi ed a perdersi nel vuoto, al
loro posto ci sarà lo smarrimento, l’annullamento e il disfacimento di se stessi.
Pagine che si staccano come
pezzi della propria storia, briciole di vita che vanno lontano e che si disperdono
nel nulla.
Qualcosa comincia a
mancare, che si tratti di una parola, un luogo, un nome, un volto non importa, perché
la sensazione di impotenza prende il posto della coscienza. Ci si sente come chi
sta scalando la cima di un monte ma non riesce ad afferrare l’ultimo puntello per
la vetta.
La demenza è una
condizione in cui non si “arriva” mai dove si vorrebbe, perchè il risultato è
sempre diverso da quello previsto.
Sconcerto, confusione,
senso di inadeguatezza, fragilità emotiva, sono tutte limitazioni vissute dal
soggetto affetto dalla demenza.
Si viene pervasi da un
senso di incapacità, rispetto alla circostanza che si sta vivendo, senza
peraltro riuscire ad avere pienamente la dimensione reale di quello che sta succedendo.
“ Sento che la parola è qui, è presente, ma non riesco a prenderla, ad
afferrarla … a farla mia ed associarla al significato … mi arrabbio con me
stesso, ma è solo un momento … poi non so … non ricordo neanche di cosa si
stava parlando … i miei figli mi guardano … e sui loro volti vedo l’immagine della
mia mancanza … ”
Per le persone care che
assistono al deterioramento lento del proprio congiunto, è difficile accettarne
il declino, che inevitabilmente si rende sempre più evidente con il passare dei
mesi.
Assistere alla perdita di
ciò che quella persona era prima della “malattia” è terribile, spesso
inaccettabile.
Necessariamente bisogna
fare i conti con una nuova realtà, sebbene dolorosa, per adottare tutta una
serie di “strategie” che possono aiutare la persona afflitta dal disturbo
mnestico a condurre una vita, per quanto possibile, dignitosa e rispettosa dei
suoi rinnovati bisogni.
“ Guardo mio padre mentre ha tra le mani il giornale, lo sfoglia ma non legge
… eppure era un divoratore di notizie che commentavamo insieme … adesso guarda
le figure … provo per lui una profonda tenerezza … e mi arrabbio quando mi
chiama col nome di mia sorella, che si è dimenticata di avere un padre … ma è
solo un momento perché poi gli prendo le mani e gliele bacio … lui allora mi
guarda … sussurra il mio nome e qualche volta piange … “
Sarà l’amore che si nutre a rifondare un nuovo
rapporto, a scrivere una nuova pagina, con caratteristiche mai usate prima ed
adeguate alle situazioni che di volta in volta si andranno ad affrontare.
Perché sarà proprio grazie
al sostegno e all’amore dei cari che si riusciranno ad alleviare le
dimenticanze, a sostituire un nome con un abbraccio, un volto con un’ emozione.
Perché così come
ricordiamo ciò che maggiormente colpisce i nostri sensi, ovvero quello che
riesce ad emozionarci in maniera forte e che si imprime in memoria, così è
possibile cercare di “recuperare” ciò che la nostra mente sta perdendo, attraverso
la riattivazione degli stati emozionali.
Un’ adeguata stimolazione,
effettuata senza che il soggetto si avveda del suo disagio, attraverso l’utilizzo
di immagini, suoni, odori e sapori può favorire il “recupero” mnestico e la
relativa associazione col presente.
Perdere la memoria della
propria storia è come lanciarsi nel vuoto senza paracadute. La dissolvenza dei
ricordi, annulla anche la dignità di ciò che si è.
Di seguito vengono
indicati almeno DIECI piccoli suggerimenti,
che consiglio vivamente di mettere in atto con una persona affetta da Demenza o dal morbo di Alzheimer.
·
NON
INSISTETE SE NON RICORDA IL NOME DI UN OGGETTO O DI UNA PERSONA :
La
vostra insistenza avrebbe l’effetto di farla sentire maggiormente in
difficoltà, genererebbe rabbia, creando uno stato di ansia tale da non riuscire
a riportare alla memoria quello che faticosamente sta cercando.
·
NON
SOSTITUITEVI NEL FARE LE COSE CHE NON RIESCE A FARE :
Fare
le cose al suo posto la farebbe sentire ancora di più inadeguata, inoltre
aumenterebbe la distanza tra la normalità di quello che era “prima” ed il
presente.
·
NON
CAMBIATE I POSTI AGLI OGGETTI CHE SONO IN CASA :
E’
importante che in casa tutto rimanga al solito posto, senza cambiamenti che non
avrebbe la capacità di memorizzare nel
breve tempo.
·
NON
MODIFICATE LE ABITUDINI QUOTIDIANE :
Ricordatevi
che avete davanti una persona che ha bisogno di certezze, per sentirsi al
sicuro almeno tra le pareti domestiche.
·
NON
CAMBIATE GLI ORARI DELLA COLAZIONE, DEL PRANZO E DELLA CENA :
È
una persona che non ama i cambiamenti, perché potrebbero generare maggiore
confusione nella sua mente e magari arrivare a chiedervi di fare colazione
all’ora di cena.
·
NON
RIDETE DELLE SUE DIMENTICANZE O DEI “SUOI RAGIONAMENTI”.
Potrebbe
succedere che non segua un vostro ragionamento o che salti da un discorso
all’altro, senza che ci sia un nesso tra le cose, non date peso e non cercate
di dare un vostro senso a ciò che dice, considerate che il suo pensiero in quel
momento non è in linea col vostro, insistere darebbe origine ad una maggiore
confusione e distanza tra di voi.
·
NON
ARRABBIATEVI SE LASCIA IL GAS APERTO O SE FA COSE CHE RITENETE “SBAGLIATE”:
Quest’evento
potrebbe accadere, ma arrabbiarsi aumenterebbe il suo senso di disagio emotivo,
arrechereste solo ulteriore dolore ad una mente confusa e affaticata, sarebbe
una mortificazione inutile e improduttiva. Ricordatevi che ciò che per voi è
sbagliato non lo è per chi soffre di questo disturbo.
·
NON
LASCIATELA SOLA :
La
persona affetta da questo male ha la percezione del senso di abbandono molto
forte.
·
NON
LASCIATELA IN SILENZIO PER
LUNGHI PERIODI DURANTE IL GIORNO:
Il
silenzio non aiuta a recuperare le informazioni che si stanno allontanando
dalla sua mente velocemente e inesorabilmente.
·
NON
CAMBIATE IL VOSTRO MODO DI COMPORTARVI NEI SUOI CONFRONTI :
Ricordatevi
che la persona a cui è stato
diagnosticato questo disturbo, è sempre quella stessa che avete stretto tra le
braccia fino ad ieri.
E’
la stessa che vi ha accompagnato finora nel vostro viaggio verso la vita.
Dott.ssa
Maria Tinto
Psicologa clinica - Consulente SessualeGiornalista - Scrittrice
giovedì 18 maggio 2017
mercoledì 15 marzo 2017
PSICOLOGA- CONSULENTE SESSUALE DOTT.SSA MARIA TINTO : FIGLI MOSTRI E MOSTRUOSITA’ SOCIALIQuandola vit...
PSICOLOGA- CONSULENTE SESSUALE DOTT.SSA MARIA TINTO :
FIGLI MOSTRI E MOSTRUOSITA’ SOCIALIQuandola vit...: FIGLI MOSTRI E MOSTRUOSITA’ SOCIALI Quando la vita è senza compassione I due recenti fatti di cronaca, che solo in apparenza s...
FIGLI MOSTRI E MOSTRUOSITA’ SOCIALIQuandola vit...: FIGLI MOSTRI E MOSTRUOSITA’ SOCIALI Quando la vita è senza compassione I due recenti fatti di cronaca, che solo in apparenza s...
FIGLI MOSTRI E MOSTRUOSITA’ SOCIALI
Quando
la vita è senza compassione
I due recenti fatti di cronaca,
che solo in apparenza sembrano essere di natura diversa, ma che a mio avviso sono
riconducibili ad una stessa matrice, ci inducono ad una profonda riflessione
sugli esseri umani.
Sono i fatti che hanno visto da
una parte ragazzini comportarsi da delinquenti efferati nei confronti di un loro
coetaneo, compagno di scuola, -particolare abbastanza significativo- e dall’altra
una madre, che accompagna il proprio figlio ad effettuare stupri di gruppo ai
danni di ragazzine.
Fatti gravi, gravissimi, che mi
inducono ad un ragionamento che riguarda la famiglia, i genitori, la scuola,
gli insegnanti, la comunità, e perché no la politica, che rimane sempre silente
quando accadono simili misfatti.
Qui non si tratta solo di
genitori perversi, assenti, iperprotettivi, violenti o rifiutanti, intrisi di
aridità sentimentale, di vuoto interiore e di egoismo;
Non si tratta solo di una
scuola assente nei suoi principi cardini, che non esercita più alcun ruolo
sociale riguardo la formazione dei giovani, né si tratta di insegnanti che non
lasciano nessun segno di positività morale, né umanamente significante nei loro
discepoli;
Non si tratta nemmeno di una
comunità priva di compassione, che volge la testa altrove, che preferisce
parlare di tette al silicone, gossip e calcio, con un margine di superficialità
aberrante, stupidamente coinvolta in un delirio commerciale insipido di avidità;
Neppure si tratta di una politica
che non riesce ad essere presente con segni tangibili di dignità e operosità
sociale, che si ciondola in insignificanti giochi di potere, traboccante di
diseguaglianze e bendata, per non essere coinvolta nell’attività di
interrogarsi su se stessa e sulle responsabilità rispetto a quanto accade nel “suo”
ambito di territorio politico;
Evidentemente si tratta di ben
altro.
Siamo di fronte ad un’emergenza sociale rilevante, che ci
vede protagonisti tutti.
Non è più il tempo di additare
gli altri delle responsabilità e cercarle fuori di noi.
Già, ma chi è il “Noi”...il
genitore?, l’insegnante?, il politico?
Cos’è che ci rende “comunità” e
ci induce a stare con gli Altri?
Ma chi sono gli Altri?...Oggetti?...Soggetti?...Cose
di cui poter disporre a proprio piacimento, per il proprio diletto?...corpi da
possedere, da oltraggiare, da umiliare?
Siamo tutti in un modo o nell’altro
responsabili di quello che sta accadendo.
Perché siamo tutti presi e
compresi in schemi di vorticosa esteriorità, chiusi nel recinto di noi stessi, alleviamo
creature senza radici, senza significato, senza senso.
Creature terribilmente sole,
estremamente illuse di poter trovare una connotazione sociale che dia un senso
alla loro esistenza.
Figli monchi di anima, privi di
umana identità, fragili o violenti come due facce della medesima modalità
malsana di esistere.
Figli vagabondi, alla continua
ricerca di se stessi, ed allora c’è chi si affida ai “maghi” per alienare il proprio
bisogno di appartenenza e c’è chi ha bisogno di “fare violenza” per sentire di
esserci agli occhi di se stesso e degli altri, nella malsana convinzione di
ricevere un consenso sociale e vedersi così finalmente riconosciuto un “ruolo”.
Cos’è che rende vulnerabili al
punto da mistificare se stessi per gli altri?, Cosa rende un ragazzino tanto
crudele da produrre una tale sofferenza in un compagno?
Possibile che siamo riusciti a
creare questi mostri?
Una madre, una donna che
assiste e agisce violenze sessuali di gruppo insieme al figlio, su una
ragazzina, una ragazzina non sconosciuta – particolare abbastanza rilevante –
bensì che frequentava e con cui immagino ci sia stato un rapporto umano,
emotivo, di relazione.
La domanda è : quali sono i sentimenti che muovono questi
mostri?
E’ l’ interrogativo che qualcuno
si pone, qualcuno che come me vorrebbe capire quanto di disumano riusciamo a
far emergere da noi stessi, quanto di vergognosamente atroce c’è in ognuno di
noi e fino a che punto non riusciamo a trattenerci dal mostrarlo.
Non voglio cercare facili
risposte, additando la comunicazione violenta dei media, né gli strumenti di
divulgazione di massa dei social, che della violenza ne hanno fatto un
vessillo.
E’ forse il caso di
interrogarci se dall’emergenza sociale si possa uscire solo attraverso una
rifondazione radicale dell’essere umano, considerato che passiamo più tempo a
difenderci dagli uomini che a cercare di capirne i meccanismi che li muovono ad
agire.
Maria Tinto
giovedì 2 marzo 2017
PSICOLOGA- CONSULENTE SESSUALE DOTT.SSA MARIA TINTO : Intervista a Maria Tinto autrice del libro: "I ba...
PSICOLOGA- CONSULENTE SESSUALE DOTT.SSA MARIA TINTO :
Intervista a Maria Tinto autrice del libro: "I ba...: Intervista a Maria Tinto autrice del libro: "I bambini non nascono cattivi"; a cura della Telegiornalista Daniela D'Angel...
Intervista a Maria Tinto autrice del libro: "I ba...: Intervista a Maria Tinto autrice del libro: "I bambini non nascono cattivi"; a cura della Telegiornalista Daniela D'Angel...
Intervista a Maria Tinto autrice del libro: "I bambini
non nascono cattivi"; a cura della Telegiornalista Daniela D'Angelo :
- I bambini non nascono cattivi ... un titolo che fa riflettere.
«Certamente vuole far
riflettere, ma è anche un titolo provocatorio: i bambini non nascono cattivi,
allora vuol dire che lo diventano; ma chi o cosa può farli diventare
“cattivi”?».
- Bene, partiamo dal capire a chi si rivolge il libro.
«I bambini
non nascono cattivi è un libro che parla dell’infanzia, ma lo fa attraverso la
coppia, a partire da come nasce l’idea di avere un figlio; quindi c’è la coppia
con i propri sogni e le aspettative; aspettative anche rispetto agli stereotipi
legati al ruolo materno e paterno a cui la coppia sente di dover sottostare. Il
difficile cammino del genitore si snoda lungo un excursus che riguarda la
costruzione del ruolo genitoriale che ciascuno intende assumere; è un libro
quindi che si rivolge a tutti coloro che hanno interesse all'infanzia, perché
il messaggio primario che vuole trasmettere è quello del rispetto assoluto
verso il bambino».
- Maria tu parli anche delle difficoltà legate alla gravidanza, ma
concordo con te sul fatto che spesso la gravidanza non è vissuta in modo
positivo da una donna anzi…
«Proprio così, l’idea che una donna incinta debba
per forza di cose essere felice e assolutamente sentirsi appagata di questa sua
condizione, fa parte di quegli stereotipi sociali e soprattutto culturali
imbastiti attorno alla donna e al ruolo materno; considera che la donna è stata
storicamente valutata unicamente per il compito di madre da assolvere. Solo
recentemente, a seguito della rivoluzione sociale riferibile agli anni
sessanta, la donna ha iniziato a farsi riconoscere anche in un ruolo sociale.
La storia dell’umanità è storia scritta dagli uomini, che inevitabilmente ne
hanno dato un taglio al maschile; la figura femminile è stata mortificata,
perché non doveva esserle riconosciuto alcun merito di rilevanza sociale, ma
solo quello naturale, biologico. La donna aveva il compito di mettere al mondo
i figli, soddisfare i desideri maschili e sottomettersi silenziosamente alla
volontà dell’uomo. Questo è purtroppo ciò che fa da sfondo alla nostra storia
di donne; da questo siamo partite, quindi è evidente come ancora ci sia tanto
da lavorare per veder riconosciuto alla donna dignità e rispetto in senso
assoluto; è difficile e complesso scardinare un substrato ideologico radicato
nella nostra cultura da millenni. Purtroppo anche da parte delle donne non è
ancora forte il senso di identità femminile, le donne fanno fatica ad
affermarsi nel privato quanto nel sociale».
- Tu segui molto la questione del
femminicidio e la violenza familiare assistita da parte dei bambini: anche nel
libro c’è una parte dedicata a questi argomenti così importanti.
«Sono anni che
mi occupo di violenza di genere, organizzo convegni e conferenze per
sensibilizzare soprattutto le donne. Vedi Daniela, mi sono resa conto, dopo
anni di studio e di ricerca, che la violenza di genere bisogna scardinarla
dalla mente degli uomini, facendo un lavoro di cesello, partendo proprio dalle
donne, dal loro modo di essere madri e dal loro modo di impostare il rapporto
con un uomo. Usare un linguaggio che non sia “di genere” è fondamentale,
soprattutto da parte delle madri con i figli. Quindi, quali parole usare con i
figli? Inoltre, sentirsi bene solo quando si ha un uomo accanto, non aiuta
l’indipendenza e il rispetto di sé. Un amore e un uomo devono essere
considerati valori aggiunti alla vita di una donna, non valori in senso
assoluto; bisogna cominciare a ricostituire una nuova modalità di stare e di
essere coppia. Il rispetto verso se stessi è la cosa primaria quando si entra
in relazione con l’altro. È il rispetto verso se stessi, che esige il rispetto
per la coppia e per la famiglia».
- E i figli?
«I figli, quando nella coppia
manca il rispetto, sono vittime inascoltate e rese invisibili da un sistema
famiglia che non li considera persone, e verso i quali non ha alcun riguardo né
attenzione. Questo è terribile per un bambino: io parlo di “dissolvenza
infantile” a definire proprio questo modo di non considerare i bambini, di
agire la violenza al loro cospetto, senza rendersi nemmeno conto del male che
in quel momento sta arrivando al bambino». -
- Quali sono i danni emotivi che un
bambino può riportare come esito della violenza familiare a cui ha assistito?
«Innanzitutto c’è da dire che un bambino che assiste alla violenza fatta ad una
persona cara, madre, fratello o sorella che sia, da parte di un congiunto,
subisce una doppia violenza. Per il fatto di essere agita da una persona di
famiglia, e per il fatto di non poter proteggere la persona cara, questo lo
pone in una condizione di sofferenza maggiore, anche perché un bambino non ha
al capacità di comprendere quello che sta succedendo. Vive le situazioni di
violenza atterrito e sopraffatto. Ma va detto che la violenza non è solo quella
fisica, i cui segni sono visibili e anche quantificabili, purtroppo esiste una
violenza che non e visibile ma che, come un veleno si insinua fino a toccare le
pieghe più nascoste dell’anima, è la violenza psicologica. Denigrazioni,
offese, gesti irriguardevoli, sguardi offensivi, sono solo alcuni elementi che
fanno parte del magma velenifero costituito dalla violenza psicologica. Un
bambino assiste impotente ed intanto assorbe su di sé la negatività violenta
che un modello distorto familiare si impone al suo sguardo. Mi chiedi dei
danni… i danni sono enormi e non quantificabili, soprattutto perché possono
manifestarsi anche a distanza di anni e assumere varie tipologie di disturbi.
Nel libro sono riportati casi di vita reale, che a distanza di anni dagli
eventi violenti, manifestano disturbi d’ansia legati al mal di vivere».
- Che
ruolo ha il padre in tutto questo?
«Questa è una domanda complessa; il ruolo
paterno è cambiato. I padri hanno bisogno di darsi una nuova connotazione
all’interno della coppia e rispetto ai figli. L’uomo ha abdicato alla propria
mascolinità e al proprio ruolo di autorevolezza familiare, in favore di
un’identità ancora da definire, che non aiuta la crescita dei figli; nel libro
c’è un intero capitolo dedicato al ruolo paterno rispetto alle nuove tecnologie
informatiche, che ne hanno minato la stabilità».
- Nel libro parli di alcune tipologie
di madri che con il loro modo di fare possono favorire l’insorgenza di disturbi
nei figli.
«Purtroppo è così: i genitori perfetti non esistono, ma spesso si
esagera nel non considerare la funzione ed il ruolo che bisogna assolvere
quando si decide di mettere al mondo un figlio. Ci sono madri che fanno male e
genitori dannosi per la crescita e lo sviluppo di un bambino, e poi c’è la
questione del tempo, un aspetto fondamentale su cui vale la pena riflettere. La
domanda che rivolgo ai genitori è: quanto del tuo tempo sei disposto a
rinunciare per tuo figlio?».
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