Intervista a Maria Tinto autrice del libro: "I bambini
non nascono cattivi"; a cura della Telegiornalista Daniela D'Angelo :
- I bambini non nascono cattivi ... un titolo che fa riflettere.
«Certamente vuole far
riflettere, ma è anche un titolo provocatorio: i bambini non nascono cattivi,
allora vuol dire che lo diventano; ma chi o cosa può farli diventare
“cattivi”?».
- Bene, partiamo dal capire a chi si rivolge il libro.
«I bambini
non nascono cattivi è un libro che parla dell’infanzia, ma lo fa attraverso la
coppia, a partire da come nasce l’idea di avere un figlio; quindi c’è la coppia
con i propri sogni e le aspettative; aspettative anche rispetto agli stereotipi
legati al ruolo materno e paterno a cui la coppia sente di dover sottostare. Il
difficile cammino del genitore si snoda lungo un excursus che riguarda la
costruzione del ruolo genitoriale che ciascuno intende assumere; è un libro
quindi che si rivolge a tutti coloro che hanno interesse all'infanzia, perché
il messaggio primario che vuole trasmettere è quello del rispetto assoluto
verso il bambino».
- Maria tu parli anche delle difficoltà legate alla gravidanza, ma
concordo con te sul fatto che spesso la gravidanza non è vissuta in modo
positivo da una donna anzi…
«Proprio così, l’idea che una donna incinta debba
per forza di cose essere felice e assolutamente sentirsi appagata di questa sua
condizione, fa parte di quegli stereotipi sociali e soprattutto culturali
imbastiti attorno alla donna e al ruolo materno; considera che la donna è stata
storicamente valutata unicamente per il compito di madre da assolvere. Solo
recentemente, a seguito della rivoluzione sociale riferibile agli anni
sessanta, la donna ha iniziato a farsi riconoscere anche in un ruolo sociale.
La storia dell’umanità è storia scritta dagli uomini, che inevitabilmente ne
hanno dato un taglio al maschile; la figura femminile è stata mortificata,
perché non doveva esserle riconosciuto alcun merito di rilevanza sociale, ma
solo quello naturale, biologico. La donna aveva il compito di mettere al mondo
i figli, soddisfare i desideri maschili e sottomettersi silenziosamente alla
volontà dell’uomo. Questo è purtroppo ciò che fa da sfondo alla nostra storia
di donne; da questo siamo partite, quindi è evidente come ancora ci sia tanto
da lavorare per veder riconosciuto alla donna dignità e rispetto in senso
assoluto; è difficile e complesso scardinare un substrato ideologico radicato
nella nostra cultura da millenni. Purtroppo anche da parte delle donne non è
ancora forte il senso di identità femminile, le donne fanno fatica ad
affermarsi nel privato quanto nel sociale».
- Tu segui molto la questione del
femminicidio e la violenza familiare assistita da parte dei bambini: anche nel
libro c’è una parte dedicata a questi argomenti così importanti.
«Sono anni che
mi occupo di violenza di genere, organizzo convegni e conferenze per
sensibilizzare soprattutto le donne. Vedi Daniela, mi sono resa conto, dopo
anni di studio e di ricerca, che la violenza di genere bisogna scardinarla
dalla mente degli uomini, facendo un lavoro di cesello, partendo proprio dalle
donne, dal loro modo di essere madri e dal loro modo di impostare il rapporto
con un uomo. Usare un linguaggio che non sia “di genere” è fondamentale,
soprattutto da parte delle madri con i figli. Quindi, quali parole usare con i
figli? Inoltre, sentirsi bene solo quando si ha un uomo accanto, non aiuta
l’indipendenza e il rispetto di sé. Un amore e un uomo devono essere
considerati valori aggiunti alla vita di una donna, non valori in senso
assoluto; bisogna cominciare a ricostituire una nuova modalità di stare e di
essere coppia. Il rispetto verso se stessi è la cosa primaria quando si entra
in relazione con l’altro. È il rispetto verso se stessi, che esige il rispetto
per la coppia e per la famiglia».
- E i figli?
«I figli, quando nella coppia
manca il rispetto, sono vittime inascoltate e rese invisibili da un sistema
famiglia che non li considera persone, e verso i quali non ha alcun riguardo né
attenzione. Questo è terribile per un bambino: io parlo di “dissolvenza
infantile” a definire proprio questo modo di non considerare i bambini, di
agire la violenza al loro cospetto, senza rendersi nemmeno conto del male che
in quel momento sta arrivando al bambino». -
- Quali sono i danni emotivi che un
bambino può riportare come esito della violenza familiare a cui ha assistito?
«Innanzitutto c’è da dire che un bambino che assiste alla violenza fatta ad una
persona cara, madre, fratello o sorella che sia, da parte di un congiunto,
subisce una doppia violenza. Per il fatto di essere agita da una persona di
famiglia, e per il fatto di non poter proteggere la persona cara, questo lo
pone in una condizione di sofferenza maggiore, anche perché un bambino non ha
al capacità di comprendere quello che sta succedendo. Vive le situazioni di
violenza atterrito e sopraffatto. Ma va detto che la violenza non è solo quella
fisica, i cui segni sono visibili e anche quantificabili, purtroppo esiste una
violenza che non e visibile ma che, come un veleno si insinua fino a toccare le
pieghe più nascoste dell’anima, è la violenza psicologica. Denigrazioni,
offese, gesti irriguardevoli, sguardi offensivi, sono solo alcuni elementi che
fanno parte del magma velenifero costituito dalla violenza psicologica. Un
bambino assiste impotente ed intanto assorbe su di sé la negatività violenta
che un modello distorto familiare si impone al suo sguardo. Mi chiedi dei
danni… i danni sono enormi e non quantificabili, soprattutto perché possono
manifestarsi anche a distanza di anni e assumere varie tipologie di disturbi.
Nel libro sono riportati casi di vita reale, che a distanza di anni dagli
eventi violenti, manifestano disturbi d’ansia legati al mal di vivere».
- Che
ruolo ha il padre in tutto questo?
«Questa è una domanda complessa; il ruolo
paterno è cambiato. I padri hanno bisogno di darsi una nuova connotazione
all’interno della coppia e rispetto ai figli. L’uomo ha abdicato alla propria
mascolinità e al proprio ruolo di autorevolezza familiare, in favore di
un’identità ancora da definire, che non aiuta la crescita dei figli; nel libro
c’è un intero capitolo dedicato al ruolo paterno rispetto alle nuove tecnologie
informatiche, che ne hanno minato la stabilità».
- Nel libro parli di alcune tipologie
di madri che con il loro modo di fare possono favorire l’insorgenza di disturbi
nei figli.
«Purtroppo è così: i genitori perfetti non esistono, ma spesso si
esagera nel non considerare la funzione ed il ruolo che bisogna assolvere
quando si decide di mettere al mondo un figlio. Ci sono madri che fanno male e
genitori dannosi per la crescita e lo sviluppo di un bambino, e poi c’è la
questione del tempo, un aspetto fondamentale su cui vale la pena riflettere. La
domanda che rivolgo ai genitori è: quanto del tuo tempo sei disposto a
rinunciare per tuo figlio?».
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