FIGLI MOSTRI E MOSTRUOSITA’ SOCIALI
Quando
la vita è senza compassione
I due recenti fatti di cronaca,
che solo in apparenza sembrano essere di natura diversa, ma che a mio avviso sono
riconducibili ad una stessa matrice, ci inducono ad una profonda riflessione
sugli esseri umani.
Sono i fatti che hanno visto da
una parte ragazzini comportarsi da delinquenti efferati nei confronti di un loro
coetaneo, compagno di scuola, -particolare abbastanza significativo- e dall’altra
una madre, che accompagna il proprio figlio ad effettuare stupri di gruppo ai
danni di ragazzine.
Fatti gravi, gravissimi, che mi
inducono ad un ragionamento che riguarda la famiglia, i genitori, la scuola,
gli insegnanti, la comunità, e perché no la politica, che rimane sempre silente
quando accadono simili misfatti.
Qui non si tratta solo di
genitori perversi, assenti, iperprotettivi, violenti o rifiutanti, intrisi di
aridità sentimentale, di vuoto interiore e di egoismo;
Non si tratta solo di una
scuola assente nei suoi principi cardini, che non esercita più alcun ruolo
sociale riguardo la formazione dei giovani, né si tratta di insegnanti che non
lasciano nessun segno di positività morale, né umanamente significante nei loro
discepoli;
Non si tratta nemmeno di una
comunità priva di compassione, che volge la testa altrove, che preferisce
parlare di tette al silicone, gossip e calcio, con un margine di superficialità
aberrante, stupidamente coinvolta in un delirio commerciale insipido di avidità;
Neppure si tratta di una politica
che non riesce ad essere presente con segni tangibili di dignità e operosità
sociale, che si ciondola in insignificanti giochi di potere, traboccante di
diseguaglianze e bendata, per non essere coinvolta nell’attività di
interrogarsi su se stessa e sulle responsabilità rispetto a quanto accade nel “suo”
ambito di territorio politico;
Evidentemente si tratta di ben
altro.
Siamo di fronte ad un’emergenza sociale rilevante, che ci
vede protagonisti tutti.
Non è più il tempo di additare
gli altri delle responsabilità e cercarle fuori di noi.
Già, ma chi è il “Noi”...il
genitore?, l’insegnante?, il politico?
Cos’è che ci rende “comunità” e
ci induce a stare con gli Altri?
Ma chi sono gli Altri?...Oggetti?...Soggetti?...Cose
di cui poter disporre a proprio piacimento, per il proprio diletto?...corpi da
possedere, da oltraggiare, da umiliare?
Siamo tutti in un modo o nell’altro
responsabili di quello che sta accadendo.
Perché siamo tutti presi e
compresi in schemi di vorticosa esteriorità, chiusi nel recinto di noi stessi, alleviamo
creature senza radici, senza significato, senza senso.
Creature terribilmente sole,
estremamente illuse di poter trovare una connotazione sociale che dia un senso
alla loro esistenza.
Figli monchi di anima, privi di
umana identità, fragili o violenti come due facce della medesima modalità
malsana di esistere.
Figli vagabondi, alla continua
ricerca di se stessi, ed allora c’è chi si affida ai “maghi” per alienare il proprio
bisogno di appartenenza e c’è chi ha bisogno di “fare violenza” per sentire di
esserci agli occhi di se stesso e degli altri, nella malsana convinzione di
ricevere un consenso sociale e vedersi così finalmente riconosciuto un “ruolo”.
Cos’è che rende vulnerabili al
punto da mistificare se stessi per gli altri?, Cosa rende un ragazzino tanto
crudele da produrre una tale sofferenza in un compagno?
Possibile che siamo riusciti a
creare questi mostri?
Una madre, una donna che
assiste e agisce violenze sessuali di gruppo insieme al figlio, su una
ragazzina, una ragazzina non sconosciuta – particolare abbastanza rilevante –
bensì che frequentava e con cui immagino ci sia stato un rapporto umano,
emotivo, di relazione.
La domanda è : quali sono i sentimenti che muovono questi
mostri?
E’ l’ interrogativo che qualcuno
si pone, qualcuno che come me vorrebbe capire quanto di disumano riusciamo a
far emergere da noi stessi, quanto di vergognosamente atroce c’è in ognuno di
noi e fino a che punto non riusciamo a trattenerci dal mostrarlo.
Non voglio cercare facili
risposte, additando la comunicazione violenta dei media, né gli strumenti di
divulgazione di massa dei social, che della violenza ne hanno fatto un
vessillo.
E’ forse il caso di
interrogarci se dall’emergenza sociale si possa uscire solo attraverso una
rifondazione radicale dell’essere umano, considerato che passiamo più tempo a
difenderci dagli uomini che a cercare di capirne i meccanismi che li muovono ad
agire.
Maria Tinto
Nessun commento:
Posta un commento